“Etica per il terzo millennio” con il teologo Vito Mancuso e lo psicoanalista Stefano Bolognini. La giornalista Brunella Torresin, tra i quasi 400 partecipanti al corso, racconta oggi su La Repubblica gli ingredienti che hanno reso straordinario questo esperimento, organizzato da Elastica.
di BRUNELLA TORRESIN
Vito Mancuso e Stefano Bolognini, teologo l’uno e psicanalista l’altro, dialogano al Mast sulle virtù cardinali. Tra Platone, Confucio, Vasco e Jovanotti
Un auditorium in cui 400 persone, forse qualcuna di meno, 380 diciamo, ascoltano in perfetto silenzio, prendono appunti e, a fine lezione, rivolgono delle domande ai due relatori: ma non è un’aula universitaria. È un luogo in cui, estrema sintesi giornalistica, il passo di un dialogo di Platone o una massima del filosofo ed erede di Confucio, Mencio, possono dialogare con un rap di Jovanotti senza alcuna caduta della qualità del discorso.
Il laboratorio di Etica di Vito Mancuso e Stefano Bolognini, teologo e intellettuale di formazione cattolica il primo, psicoanalista freudiano il secondo, ha molti aspetti straordinari: le idee, le persone, i numeri. Sono cinque incontri al Mast di via Speranza – tre si son già svolti, ne sono rimasti due, il 18 marzo e il 1° aprile, organizzati da Elastica con iscrizione obbligatoria su www.mast.org dedicati alle virtù cardinali: prudenza o meglio saggezza, giustizia, fortezza, temperanza. La natura di laboratorio fa sì che, stabilita la competenza indiscutibile dei ricercatori che li conducono, gli esperimenti, come ad esempio la discussione sulla saggezza e, a seguire, sulla morale sociale e la morale individuale, possano coinvolgere, a margine, è chiaro, anche pensatori sui generis. Jovanotti, appunto, chiamato in causa per il suo “Io penso positivo”. O il più rude Vasco Rossi: “Egoista certo perché no! / Perché non dovrei esserlo/ Quando c’ho il mal di stomaco/ Con chi potrei condividerlo, oh!”, da Cosa succede in città.
Etica per il terzo millennio, per tempi confusi e imbarbariti, dove il bene è indicato come il compimento del nostro esistere, l’orientamento più prezioso per una vita guarita e le virtù un valido aiuto contro la sofferenza universalmente intesa.
Nell’argomentare, Vito Mancuso e Stefano Bolognini sono perfettamente complementari.
Tredici anni di differenza d’età, coltivano entrambi un’autentica passione per l’etimologia.
Bolognini ritrae Mancuso come «un torrente di montagna», acqua cristallina e energia. Per sé, invece, s’è ritagliato il ruolo di «avvocato del diavolo». Se Mancuso è passione, Bolognini è pacatezza: meglio ancora, è il «Dipende». Se Mancuso spiega che per lui saggezza non è prudenza, non è cautela, bensì ciò che ci dà forza e discernimento nel portare avanti un lavoro su noi stessi che mira allo «stare in salute: salute del corpo, della psiche e dello spirito» perché solo chi sta bene con sé stesso (morale individuale) può fare il bene, e del bene, degli altri e agli altri in un più esteso contesto di polis (morale sociale), certamente Bolognini lo considera un assunto rivoluzionario. Ma poi avverte: non è cosi semplice la nozione dello stare bene, da analista un’affermazione del genere lo metterebbe in guardia come sintomo di un malessere piuttosto che un esibito benessere. Quindi, in sintesi: «Dipende».
L’immagine forse più corretta del loro dialogo è quella del prisma: un raggio luminoso che attraverso il cristallo si scinde nei suoi diversi colori. Vito Mancuso argomenta la sua tesi, in 30-35 minuti: «Il nostro dovere non consiste nel fare, ma nello stare. Stare bene. Niente è più prezioso del proprio sé.
Questo non significa un invito alla pigrizia né all’acquiescenza».
Bolognini, che ascoltandolo prende nota, replica per altri 30 minuti: attorno alla saggezza, avverte, molta della partita si gioca da piccoli e molto giocano le circostanze della vita. Però racconta anche di Bato Tomaševi(1928-2017), montenegrino, passato attraverso la dissoluzione della Jugoslavia e innumerevoli prove, e del suo libro “Montenegro”, che è anche la storia di una integrazione possibile.
Poi spazio alle domande dal pubblico, alle quali rispondono entrambi. La platea è in grande maggioranza femminile, alla fine, persone che non si conoscono sentono il bisogno di rivolgersi la parola per scambiare le proprie impressioni. Non fossero ormai le otto di sera, resterebbero lì un’altra mezz’ora almeno.
Per questo ha mille volte ragione Vito Mancuso a chiederci: «Cosa ha fatto sì che la parola etica con i suoi contenuti, oggi suoni così noiosa, così gravosa? Come siamo caduti in questa trappola?». E a ricordare quanto bisogno abbiamo che «torni il coraggio di fare la morale». Diversamente continueremo a essere così, così come siamo: «Giù di morale, demoralizzati».
da La Repubblica, 12 Marzo 2019